Rassegna web

L’Osservatorio si occupa quotidianamente di monitorare il web e altre fonti di informazione per fornire notizie di approfondimento sull’impatto dei conflitti armati contemporanei sui civili.

1 luglio 2019

 Più di 20.000 manifestanti nigeriani protestano contro la milizia anti-Boko Haram a seguito della morte di  un conducente risciò da parte di un membro della milizia.


Domenica 30 giugno, più di 20.000 manifestanti hanno preso parte ad una dimostrazione contro l’anti-Boko Haram Civilian Joint Task Force (CJTF) in risposta all’uccisione di un conducente risciò da parte di un militante solo poche ore prima della protesta.

Nonostante le richieste della polizia e dell’esercito, i manifestanti hanno bloccato le strade principali, appiccato  incendi sia nelle vie sia nella città settentrionale di Maiduguri, come riportato da un giornalista di AFP.

 Il militante che ha ucciso il conducente è sotto inchiesta, anche se il capo del CJTF nell’area di Suleimanti, Babakura Abba-Ali, ha detto “il rifiuto del conducente di fermarsi (al posto di blocco) ha insospettito i nostri uomini e uno di loro lo ha fatto scendere perché pensavano fosse un terrorista di Boko Haram in missione”.

 In risposta agli attacchi civili del gruppo jihadista, Boko Haram, CJTF si è formato nel 2013 come gruppo di vigilanti. Giovani uomini e donne nel gruppo vigilante hanno organizzato e ucciso membri noti di Boko Haram, costringendo gli jihadisti ad abbandonare la città. I vigilanti  in seguito si sono trasformati in una forza militare e hanno collaborato con l’esercito per combattere Boko Haram. Secondo AFP, “il conflitto decennale di Boko Haram ha ucciso almeno 27.000 persone e costretto all’incirca due milioni a fuggire dalle loro case in Nigeria”.

 Sebbene la milizia avesse lo scopo di tenere Maiduguri al sicuro da Boko Haram, stanno facendo del male ai civili. Un residente di Suleimanti, Bukar Saleh, ha detto “Vogliamo che il CJTF venga bandito dalla città a causa degli abusi che subiamo nelle loro mani. Seguono solo le proprie leggi e ci trattano male. E ora hanno iniziato ad ucciderci”

 

Per leggere di più, visitare:

https://www.nation.co.ke/news/africa/Nigeria-protesters-demand-end-to-anti-Boko-Haram-militia/1066-5178182-xky7tz/index.html

https://civiliansinconflict.org/blog/cjtf/

 

Autrice: Giulia DeLuca; Traduttrice: Giulia Francescon

Pubblicato in Nigeria - Rassegna Web
Mercoledì, 17 Luglio 2019

“La violenza deve finire”: l' UNICEF esprime preoccupazione per i continui disordini e le brutalità inflitte ai bambini in Sudan


Il tre giugno, a seguito di una reazione militare contro i manifestanti pro-democrazia, diversi bambini sono stati uccisi o feriti.

Negli ultimi mesi, le condizioni in Sudan sono gradualmente diventate insostenibili per i civili. Considerata la gravità della situazione, Henrietta Fore, Direttore Esecutivo del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF), ha espresso preoccupazione riguardo le prevedibili conseguenze della continua violenza sui bambini che vivono in Sudan.

Le tensioni nel paese sono iniziate ad aprile 2019, quando il presidente Omar al-Bashir è stato desautorato dai militari. Nonostante sembrasse si fosse raggiunto una sorta di consenso tra  il Consiglio Militare provvisorio al governo e i manifestanti durante i colloqui pacifici di maggio, la situazione si è aggravata il 3 giugno. Difatti, le forze di sicurezza e i paramilitari hanno sparato contro i manifestanti nella capitale Khartoum. Di conseguenza, almeno 19 bambini sono stati uccisi e altri 49 feriti. La situazione è causa di notevole preoccupazione, come dichiarato da Fore. Inoltre, scuole, ospedali e centri sanitari sono stati attaccati e, in molti casi, distrutti. Secondo le informazioni raccolte dall’UNICEF, i bambini che vivono in Sudan sono attualmente detenuti, sessualmente abusati o reclutati come combattenti. La crisi nel paese sta rapidamente peggiorando a causa della scarsità di cibo, acqua e medicine, fondamentali per la salute dei bambini.

A seguito di questi recenti disordini, come sottolineato dal suo Direttore Esecutivo, l'UNICEF continuerà ad offrire assistenza e si impegnerà a fornire vaccini, acqua e cure per la malnutrizione e sostegno psicosociale a milioni di bambini. Inoltre, nella sua dichiarazione, Fore ha esortato tutte le parti coinvolte nel conflitto a stabilire un dialogo pacifico, nonché a proteggere i bambini e i loro diritti fondamentali. Nel suo appello, ha anche sollecitato le autorità sudanesi a permettere alle organizzazioni umanitarie di portare avanti le loro attività nel paese.

 

Per leggere di più, visitare:

https://www.forbes.com/sites/unicefusa/2019/06/12/children-killed-and-injured-amid-escalating-violence-in-sudan/#31b86851565a

 https://www.thesun.co.uk/news/9285679/sudan-massacre-kids-killed-sexually-abused-militia-stench-bodies-schools/

https://news.un.org/en/story/2019/06/1040301

 

Giulia Francescon 

 

Pubblicato in Sudan - Rassegna Web
Martedì, 25 Giugno 2019

A due anni dal culmine del conflitto tra le forze irachene e lo Stato Islamico (ISIS), milioni di sfollati in Iraq vivono ancora in alloggi provvisori o in campi.  


Dei 5.8 milioni di civili costretti a lasciare la propria casa a seguito dellavanzata dell’ISIS in Iraq nel 2014, oltre 1.8 milioni sono ancora privi di alloggi permanenti e stabili. Alcuni, attualmente, subiscono pressioni intese a indurli a far ritorno in condizioni non sicure, mentre altri vivono in alloggi privati. Molti sfollati sono restii a tornare a casa, dal momento che 242 quartieri in Iraq sono disseminati di mine e altri esplosivi. 

Non sono rari i casi di nuclei familiari costretti ad abbandonare le proprie abitazioni perché i ritenuti vicini all’ISIS ("divieto di associazione"). Questa situazione colpisce maggiormente donne e bambini, i cui diritti umani fondamentali sono così violati e a cui è impedito de facto di reinserirsi nella società. Ai civili ritenuti colpevoli di divieto di associazione è preclusa la possibilità di ricevere l’assistenza sanitaria, l’accesso ai servizi di base, la libera circolazione e il possesso dei documenti di identità. Questa situazione ha maggiore impatto sui bambini, che vengono addirittura privati del certificato di nascita richiesto per iscriversi a scuola. Approssimatamente 156.000 individui sono sprovvisti di documenti, perché considerate vicine all'ISIS o perché vivono ancora nei territori controllati dal Daesh. 

È in corso un dibattito sulla realizzazione di complessi residenziali pubblici per ospitare le famiglie sospettate di essere affiliate all’ISIS. Il tempo di permanenza in questi complessi sarebbe indefinito, e il governo è poco incline a far supervisionare le aree residenziali alle organizzazioni umanitarie. Per il momento 1.072 civili della provincia irachena occidentale di Anbar torneranno a casa in settimana, grazie a un’iniziativa del Dipartimento iracheno di Dislocamento e Migrazione. 

L’Unione Europea ha destinato 2 milioni di euro per gli alloggi nei campi di accoglienza destinati a circa 35.000 civili. «Se per molte famiglie sfollate è difficile far ritorno a casa, non possiamo dimenticare coloro che sono ancora bloccati nei campi», riferisce Christos Stylianides, Commissario europeo per gli Aiuti Umanitari e la Gestione della Crisi. Il commissario ha fatto inoltre presente che «le persone sfollate che hanno accesso all’assistenza umanitaria restano una priorità per l’UE in Iraq». I fondi verranno destinati ai campi di accoglienza di Jad’ah, fuori Qayyara, dove una parte dei 1.5 milioni di iracheni sfollati continua a vivere. Il contributo è stato possibile grazie all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), con la speranza di migliorare le condizioni di vita degli sfollati interni.

 

Per saperne di più: 

https://www.hrw.org/news/2019/06/14/iraq-displaced-people-unable-return-home-years-after-battles

https://www.kurdistan24.net/en/news/6c32008c-dde9-42ce-8b05-42b4b5f0df8d

https://www.hrw.org/news/2019/06/14/iraq-not-homecoming

https://www.kurdistan24.net/en/news/877c1cc3-f40c-473a-8542-b144192f1374

 

Simona Smacchi

Pubblicato in Iraq - Rassegna Web
Martedì, 25 Giugno 2019

In assenza di un accordo di cessate il fuoco, gli attacchi contro i civili sono continuati durante il mese sacro del Ramadan.


Il 5 maggio 2019 ha avuto inizio il Ramadan in Afghanistan. Nonostante ciò, gli attacchi compiuti dai Talebani non sono cessati. La United Nations Assistance Mission in Afghanistan (UNAMA) ha riferito che nel corso del mese, gruppi anti-governativi hanno deliberatamente attaccato i civili:  l’8 maggio personale di organizzazioni non governative è stato attaccato a Kabul; il 24 maggio uno studioso religioso è stato assassinato in una moschea; il 27 maggio e il 3 giugno erano diretti attacchi contro funzionari del governo e il 2 giugno sono stati attaccati studenti sciiti.

Sono passati 20 anni dal primo meeting sulla Protezione dei Civili nei Conflitti Armati del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, eppure gli attacchi ai civili in Afghanistan rappresentano un'apeta violazione dei fondamenti del diritto Internazionale Umanitario. “Condanno questi attacchi deliberati contro i civili, che indicano un chiaro intento di diffondere paura; delegittimano i perpetratori, privandoli di qualsiasi pretesa di rappresentare il popolo dell’Afghanistan” ha  detto Tadamichi Yamamoto, capo dell’UNAMA. Yamamoto ha inoltre dichiarato che non possono esserci giustificazioni nell’attaccare dei civili per nessuna delle parti in conflitto. 

Nel 2018 i Talebani hanno concordato un cesssate il fuoco, per tre giorni in coincidenza con Id al -Fitr, alla fine del Ramadan. Il cessate il fuoco non aveva precedenti e ha  fatto sperare nella conclusione con successo delle trattative di pace. Quest'anno, invece, i Talebani hanno rifiutato le richieste di una tregua durante il Ramadan e hannoattaccato il loya jirga, il consiglio tradizionale.

L'UNAMA ha dichiarato che che continuerà a condurre indagini imparziali sul territorio, così come da mandato del Consiglio di Sicurezza e così come a registrare i danni inflitti ai civili. I risultati saranno resi pubblici in un rapporto, in modo da minimizzare l’impatto della guerra sui i civili.

 

Per leggere di più, visitare:

https://news.un.org/en/story/2019/06/1040111

https://www.bbc.com/news/world-asia-48147066

https://www.washingtonpost.com/world/asia_pacific/bomb-targets-government-bus-in-kabul-as-hopes-dwindle-for-ramadan-cease-fire/2019/06/03/2bd66340-85df-11e9-98c1-e945ae5db8fb_story.html?utm_term=.48941fa9184b

https://www.nytimes.com/2019/05/30/magazine/afghan-war-casualty-report-may-24-30.html

 

Giulia Francescon 

Pubblicato in Afghanistan - Rassegna Web
Martedì, 25 Giugno 2019

5 giugno 2019

Domenica, un movimento democratico in Sudan ha dato inizio a una fase di disobbedienza civile a seguito degli attacchi a Khartoum. 


La violenza è scoppiata in un presidio di protesta della capitale Khartoum, quando degli attivisti hanno organizzato dei sit-in fuori il comando militare, volti a ottenere il ritorno di uno stato democratico. L’associazione dei professionisti sudanesi (SPA) guida le proteste da quando i principali leader d’opposizione sono stati arrestati dalle forze dell’ordine. 

I manifestanti sono stati esposti ai gas lacrimogeni e agli scontri a fuoco, mentre le tende nei campi sono state date alle fiamme dai soldati e da altri gruppi parlamentari. Finora il bilancio delle vittime è salito a 118, da quando le forze dell’ordine hanno aperto il fuoco sui manifestanti, ferendo decine di persone. 

I conflitti tra i dimostranti e il consiglio militare al potere si sono acuiti in seguito alla deposizione dell’ex leader Omar al-Bashir in aprile. I leader d’opposizione arrestati sono stati portati in località imprecisate, dopo aver avuto discussioni con il  primo ministro etiope in merito a iniziative di liberazione. Ciò ha provocato ulteriori raid e blitz militari che hanno impedito agli attivisti di muoversi liberamente per Khartoum. Centri medici pubblici e privati sono stati chiusi alle vittime durante le ondate di protesta per bloccare il loro accesso all’assistenza sanitaria. Il consiglio militare non ha mai mostrato segni di cedimento, ma intanto i manifestanti invocano che siano i civili a guidare il Paese in questa fase di transizione che dovrebbe portare a un nuovo governo. 

Istituzioni in difesa dei diritti umani, come le Nazioni Unite, esprimono solidarietà ai manifestanti. «Ancora una volta, ci appelliamo alle autorità affinché effettuino un’inchiesta immediata e indipendente riguardo le eccessive violenze esercitate sul presidio di protesta», ha dichiarato il portavoce delle Nazioni Unite, Rupert Colville. «La responsabilità è fondamentale per evitare ulteriore spargimento di sangue. Ribadiamo la necessità di una nuova fase transitoria verso uno stato democratico.» Si prevede a breve la visita del capo diplomatico degli Stati Uniti per l’Africa in Sudan, volta a cercare di raggiungere un compromesso tra il Consiglio Militare di Transizione l’opposizione civile. I manifestanti intendono nominare membri del proprio consiglio transitorio e il proprio leader di governo. 

 

Per saperne di più: 

https://www.aljazeera.com/news/2019/06/cloneofsudan-crackdown-protesters-latest-updates-190606083751943.html

https://edition.cnn.com/2019/06/09/africa/sudan-civil-disobedience-intl/index.html

https://www.nytimes.com/aponline/2019/06/03/world/middleeast/ap-ml-sudan.html

https://news.un.org/en/story/2019/06/1040021

 

Simona Smacchi

Pubblicato in Sudan - Rassegna Web
Martedì, 25 Giugno 2019