Il preoccupante conflitto nel Gran Kasai: un’ex area di pace

A causa del sanguinoso conflitto nel Kasai, il numero degli sfollati congolesi è in preoccupante aumento A causa del sanguinoso conflitto nel Kasai, il numero degli sfollati congolesi è in preoccupante aumento © UNHCR photo

Settembre 2017
Un rapporto delle Nazioni Unite descrive una delle più gravi crisi umanitarie causata dalla metamorfosi di uno scontro politico in un massacro etnico.

Dal 13 al 23 giugno 2017, una squadra di esperti dell’Ufficio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (OHCHR) è stata inviata in Angola per condurre una serie di interviste ai rifugiati scappati dagli atroci attacchi verificatisi tra il 12 marzo e il 19 giugno 2017, nel territorio di Kamonia, nell’area del Gran Kasai.

Il Gran Kasai è una regione centrale della Repubblica democratica del Congo (RDC) sino a poco tempo fa estranea al ben noto conflitto interno che ha terrorizzato altre parti del paese a cavallo del nuovo secolo.

La crisi in quest’area trae origine da una diatriba tra governo e tribù locali circa le regole riguardanti la leadership e la trasmissione del potere per via ereditaria in diversi villaggi della provincia del Kasai Centrale. Nell’aprile 2016, il rifiuto delle autorità centrali di riconoscere Jean-Pierre Mpandi, noto anche come Kamuina Nsapu, quale capo per successione ereditaria della tribù di Bajila Kasanga, nel Kasai Centrale, scatenò una rivolta popolare da parte dei suoi sostenitori. Il 12 agosto 2016, Jean-Pierre Mpandi venne ucciso dalle forze armate congolesi e questo evento rappresentò il punto di svolta del conflitto. Piccole schermaglie si trasformarono in una brutale caccia all’uomo.

Il report è di assoluta importanza soprattutto laddove testimonia come, dall’aprile 2017, la crisi nel Kasai ha assunto una dimensione etnica sempre più evidente e preoccupante.

Secondo gli esperti, sono tre gli attori coinvolti: la milizia anti-governo, Kamuina Nsapu; una milizia filogovernativa, i Bana Mura; ed appartenenti alle forze armate della Repubblica democratica del Congo, le Forces armées de la République démocratique du Congo (FARDC).

All’inizio del conflitto, il bersaglio dei Kamuina Nsapu erano essenzialmente ufficiali del governo ed individui accusati di stregoneria, ma successivamente la milizia ha iniziato a condurre attacchi premeditati contro la popolazione civile sulla base della loro appartenenza etnica. Bersaglio principale sono diventate le comunità dei Tchokwe, Pende e Tetela, minoranza nella zona, accusate di essere colluse con l’esercito congolese. Dall’altro lato, anche i Bana Mura hanno iniziato a colpire, con plurime e sistematiche violazioni dei diritti umani ed abusi, le etnie Luba e Lulua, accusandole di essere complici delle milizie dei Kamuina Nsapu. Quanto alle FARDC, secondo quanto riportato da alcuni dei rifugiati intervistati, queste hanno fornito le armi e supportato le azioni criminali della milizia filogovernativa, talvolta guidando le azioni dei Bana Mura personalmente. Inoltre, alcuni testimoni hanno riferito che l’esercito regolare di Kinshasa non ha mai fatto alcuna distinzione tra le milizie ed i civili, mentre le Nazioni Unite hanno accusato alcuni membri dell’esercito di aver scavato la maggior parte delle 80 fosse comuni ritrovate nella regione.

Cruenti gli abusi ed i metodi impiegati sia dalle milizie che dall’esercito. Da un lato, in tutti gli episodi documentati, i Kamuina Nsapu sono accusati di aver reclutato ed impiegato bambini e bambine soldato, costringendoli anche a bere il sangue delle vittime in asseriti rituali magici. Secondo alcune testimonianze, i Kamuina Nsapu hanno giustiziato e decapitato in pubblico anche membri delle forze armate e componenti del governo nonché dato la caccia a persone sospettate di compiere atti di stregoneria per paura che potessero mettere in pericolo il loro potere. Quanto ai Bana Mura, secondo alcuni rifugiati di etnia Luba, essi hanno attaccato sistematicamente le comunità Luba e Lulua, decapitando, mutilando e sparando alle loro vittime e, in alcuni casi, bruciandole vive. In aggiunta, il report riferisce di feroci episodi di violenza di genere o a sfondo sessuale, compresi stupri di massa. Alcuni tra i sopravvissuti hanno anche raccontato che membri dell’esercito congolese hanno costretto componenti della popolazione civile a costruire le fosse comuni dove gli individui giustiziati venivano poi bruciati, rafforzando così il convincimento della piena complicità del governo nel massacro.

Il team dell’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha certificato che, tra il 12 marzo e il 19 giugno, violazioni dei diritti umani ed altri abusi, quali esecuzioni sommarie, stupri, mutilazioni, distruzione di beni, sono stati compiuti contro almeno 282 vittime, tra cui 113 donne e 68 bambini. I Bana Mura sono considerati responsabili per 171, i Kamuina Nsapu per 86, ed i militari dell’esercito della RDC per 25. Ovviamente questo numero rischia di essere di gran lunga superiore, in quanto i membri del team hanno avuto un limitato tempo a disposizione e non hanno potuto visitare le zone dove violazioni ed abusi si sono verificati per ragioni di sicurezza.

Alla luce di questi risultati, la squadra di ricercatori ha comunque evidenziato che le violazioni dei diritti umani e gli abusi commessi nella regione del Kasai integrano veri e propri reati puniti dal codice penale congolese e possono essere qualificati anche come reati rilevanti per il diritto internazionale. Si invita, quindi, il governo ad intraprendere tutte le azioni necessarie per assolvere pienamente il ruolo di garante dell’intera popolazione del Gran Kasai a prescindere dall’etnia di appartenenza: ad esempio, condurre indagini in maniera indipendente e trasparente, intraprendere azioni volte a dissolvere e disarmare le milizie ancora attive sul territorio, promuovere iniziative di riconciliazione tra le comunità e così via.

Ciò anche in considerazione del fatto che, la situazione descritta è ancor più grave alla luce della tensione politica già in atto causata dal rifiuto del presidente Joseph Kabila di dimettersi, nel dicembre 2016, a mandato scaduto. In questo contesto, il violento conflitto in corso potrebbe giustificare un indefinito rinvio delle elezioni presidenziali sulla base di motivi di sicurezza, con una conseguente ingestibile instabilità in un paese già pesantemente ferito.

Per saperne di più, consulta:

www.ohchr.org/Documents/Countries/Africa/OHCHRMissionreportonaccountsofKasairefugees.docx

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