Esperti dell’ONU condannano le condizioni disumane nei campi di Al-Hol e Roj

 Bambini siriani in un campo di rifugiati Bambini siriani in un campo di rifugiati Julie Ricard/Unsplash

8 Febbraio 2021

Esperti dei diritti umani chiedono il rimpatrio da parte di 57 Stati dei loro cittadini detenuti nel nord-est della Siria

Circa 10.000 cittadini stranieri di 57 paesi, principalmente donne e bambini associati a combattenti dello Stato Islamico, si trovano attualmente detenuti nei campi di rifugiati di Al-Hol e Roj, nel nord-est della Siria. Esperti dei diritti umani dell’ONU hanno manifestato in ripetute occasioni la loro preoccupazione per le condizioni umanitarie e di sicurezza nei campi, definendole “disumane”. Nei giorni scorsi hanno esortato i governi dei 57 paesi di origine dei cittadini stranieri detenuti a procedere immediatamente con il rimpatrio. Fionnuala Ní Aoláin, Relatore Speciale dell’ONU per la protezione dei diritti umani nella lotta al terrorismo, ha sottolineato l’urgenza della questione e ha evidenziato che “le pratiche disumane e degradanti nei campi si avvicinano alla soglia della tortura secondo il diritto internazionale”. Ha poi aggiunto che “un numero indefinito di detenuti ha già perso la vita a causa delle condizioni della detenzione”.

Secondo gli esperti dei diritti umani dell’ONU “gli Stati hanno la responsabilità fondamentale di agire per proteggere gli individui che si trovano in situazioni di vulnerabilità fuori dai loro territori e che sono sottoposti a abusi e violazioni dei diritti umani, in particolare donne e bambini”. Ciò nonostante, i governi si sono dimostrati riluttanti a rimpatriare i loro cittadini detenuti nei campi di Al-Hol e Roj per paura che si siano radicalizzati durante la detenzione e per il fatto che sarebbe comunque difficile condannare i combattenti dell’ISIS e le loro mogli per mancanza di prove. Questo potrebbe significare condanne brevi di solo un paio d’anni. Per il momento solo Canada, Finlandia e Kazakistan hanno rimpatriato alcuni dei loro nazionali detenuti, mentre il resto dei paesi, tra cui spiccano Regno Unito, Cina, Francia, Russia e USA, è rimasto immobile.

Ciò che preoccupa maggiormente è la situazione di quelle donne e bambini, familiari di combattenti stranieri dello Stato Islamico, che non hanno commesso nessun crimine e sono obbligati a vivere in questi campi. Esistono casi in cui i familiari dei combattenti sono stati coinvolti in attività criminali, ma sono la minoranza. La maggior parte delle donne detenute sono state obbligate a sposare combattenti dello Stato Islamico contro la loro volontà e molti bambini non hanno avuto altra scelta che quella di seguire i loro genitori. Il rifiuto di rimpatriare da parte dei loro paesi d’origine li sta intrappolando in una situazione in cui non hanno nessuna possibilità di scegliere il loro futuro, che dipende solamente dalle decisioni dei loro governi e delle autorità curde che amministrano i campi.

 

Per saperne di più:

https://www.reuters.com/article/syria-security-un-rights-int/un-urges-57-countries-to-reclaim-women-children-from-syrian-camps-idUSKBN2A81U6

https://news.un.org/en/story/2021/02/1084172

https://reliefweb.int/report/syrian-arab-republic/syria-un-experts-urge-57-states-repatriate-women-and-children-squalid

 

Autore: Michele Pitta; Editore: Silvia Luminati

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