Il Rapporto 2017 del Global Peace Index è stato pubblicato

Il Global Peace Index 2017: la mappa sullo stato globale della pace Il Global Peace Index 2017: la mappa sullo stato globale della pace © IEP, 2017

Agosto 2017
L’Institute for Economics and Peace ha classificato 163 stati e territori indipendenti in relazione al livello di pace.

Dal Rapporto 2017 è emerso che il livello di pace globale è aumentato dello 0.28%. L’Islanda rimane lo stato più pacifico al mondo, status che detiene dal 2008. A questa si sono aggiunti Nuova Zelanda, Portogallo, Austria e Danimarca. Allo stesso modo la lista è rimasta per lo più stabile per quanto riguarda i paesi nelle ultime posizioni, in cui troviamo Afghanistan, Iraq, Sud Sudan, Yemen e nuovamente Siria, considerato anche quest’anno il paese meno sicuro.

Ci sono stati significativi miglioramenti dall’anno precedente, in particolare in riferimento al numero e alla durata dei conflitti esterni. Molti stati hanno infatti limitato la propria presenza in Afghanistan ed Iraq. Il terrore politico è migliorato escludendo l’area Subsahariana e quella del Medio Oriente e Nord Africa. C’è stata anche una diminuzione degli omicidi, ogni 100.000 abitanti, e dei crimini violenti. Per quale motivo questo miglioramento non viene percepito?

Secondo quanto riportato dal rapporto, a causa della concentrazione dei media sui conflitti in Medio Oriente, la crisi migratoria e gli attentati in Europa, molte tendenze positive sono state ignorate. Allo stesso modo, il punteggio assegnato agli Stati Uniti è stato ridotto a causa dell’aumento della percezione di criminalità nella società e del conflitto organizzato. Il Rapporto dichiara come il livello di pace globale si sia deteriorato dell’oltre 2.24% dal 2008.

Il rapporto ha come obiettivo quello di valutare il valore economico della pace. L’impatto economico della violenza sull’economia globale nel 2016 è stato pari a 14.3 miliardi di dollari in termini di parità di potere d’acquisto. Questo equivale al 12.6% dell’attività economica globale. Le spese per la pace si stimano intorno ai 10 miliardi, cioè meno dell’1% rispetto al costo totale della guerra. Nel rapporto viene sottolineato un probabile aumento dei fondi per la pacificazione, che garantisce un ritorno dell’investimento 16 volte maggiore rispetto all’intervento militare. In altre parole, la pace paga.

Il rapporto di quest’anno include anche l’analisi di fattori positivi per la pace, cioè quei fattori importanti per i gli stati che si muovono verso livelli più alti di pace. Lo studio rivela che fattori diversi diventano rilevanti a stadi diversi. Negli stati caratterizzati da un scarso livello di pace, il fattore più importante è la presenza di un governo ben funzionante a cui si aggiungono un basso livello di corruzione, il rispetto dei diritti e una buona convivenza con gli stati vicini. Infine, al livello intermedio acquistano importanza la libera circolazione delle informazioni e un buon ambiente per le relazioni economiche.

Nello specifico, si ritiene che il deterioramento di questi fattori sia legato alla rinascita dei populismi in Europa. Un aumento della percezione dei livelli di corruzione all’interno dell’élite politica, l’ampliamento delle ineguaglianze nel sistema sanitario, il deterioramento della libertà di stampa e della concentrazione dei media unito al calo del rispetto dei diritti altrui sono tra i temi su cui hanno infatti riscosso maggior successo i partiti populisti in Europa.

 

Per maggiori informazioni, consultare:

http://visionofhumanity.org/app/uploads/2017/06/GPI17-Report.pdf

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