Equatoria: la guerra continua in Sud Sudan.

Il generale ribelle Moses Lojuko parla alle truppe nel villaggio di Loopo, nella contea di Kajo Keji. Il generale ribelle Moses Lojuko parla alle truppe nel villaggio di Loopo, nella contea di Kajo Keji. © Jason Patinkin/IRIN

22 Luglio 2017
La regione di Equatoria, il granaio del Sud Sudan, è consumata dalle violenze. La crisi tra i ribelli e l'esercito regolare non accenna ad attenuarsi.

Quando la guerra civile è scoppiata in Sud Sudan nel 2013, la regione di Equatoria è riuscita a rimanere fuori dal conflitto. La situazione è cambiata nel corso del 2016, con la decisione dell’esercito nazionale di aumentare il controllo sulla regione. Contemporaneamente, le Nazioni Unite hanno avvertito del rischio di potenziali genocidi, e la conta dei rifugiati è aumentata drammaticamente.

La situazione attuale nella regione è la stessa del resto della nazione. Fori di proiettile segnano i muri dei negozi, carcasse di edifici si susseguono lungo le strade, e dozzine di abitazioni sono state date alle fiamme. I ribelli occupano i villaggi sparsi in Equatoria, e molti civili hanno deciso di sfollare in Uganda. Gli abitanti che decidono di restare affrontano fame, malattie e la costante paura di un’altra guerra.

La contea di Kajo Keji, in Equatoria, ha una lunga storia di conflitti. Circa mezzo secolo fa, i ribelli di Anyanya vi si accamparono durante il primo conflitto civile della nazione, che durò fino al 1972. Quando i ribelli del sud decisero di insorgere una seconda volta, all’inizio degli anni ’80, Kajo Keji diventò il quartier generale dell’Esercito di Liberazione del Popolo del Sudan (ELPS), il cui nome dal 2011 identifica le armate regolari della nazione indipendente del Sud Sudan. Dopo la conclusione della seconda guerra civile sudanese nel 2005, Kajo Keji ha vissuto un periodo di pace.

Nel 2013, la guerra civile tra i ribelli di etnia Nuer, guidati dal precedente vice presidente del Sudan Machar, e l’esercito regolare (a prevalenza Dinka), guidato dal presidente Kiir, è scoppiata in Sud Sudan. La zona di Kajo Keji, così come l’intera regione di Equatoria, è rimasta esterna alle nuove violenze. Nel 2015, Machar e Kiir hanno firmato un accordo che nominava Machar il primo vice presidente della nazione. Nell’accordo, inoltre, si è dato il diritto, sia ai ribelli che all’esercito regolare, di stabilire delle basi sparse sul territorio nazionale. Questo accordo di pace ha segnato l’inizio di una nuova ondata di violenze in Equatoria.

Dalla parte di Machar milita l’Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese In Opposizione (ELPS-IO), cresciuto in numero e risorse negli accampamenti di Equatoria. Il governo ha risposto al vasto reclutamento di Machar con la decisione di schierare in Equatoria la milizia Mathiang Anyoor. Il gruppo armato Mathiang Anyoor si è fatto portavoce di una campagna di terrore contro le comunità locali, arrestando e uccidendo ogni civile sospettato di avere contatti con l’ELPS-IO. Questi abusi non hanno fatto che inasprire la tensione etnica già presente tra le popolazioni di Equatoria.

Nel 2016, il debole accordo di pace tra Machar e Kiir è venuto a meno, e Machar è fuggito con i suoi uomini nella vicina Repubblica Democratica del Congo (RDC). Coloro che avevano supportato Machar, hanno dato il via ad una vera e propria ribellione. Nelle aree a sud-ovest della capitale Juba, le truppe Dinka hanno ucciso gli abitanti equatoriani nel tentativo di eliminare i ribelli. Contemporaneamente, l’esercito regolare di Equatoria ha ucciso i civili di etnia Dinka che vivono nella regione. Molti civili hanno deciso di sfollare in Uganda o nella RDC, creando il più vasto esodo nella storia Africana dal genocidio del Ruanda.

Il 20 gennaio 2017 i ribelli hanno assassinato Oliver Jole, ufficiale di rilievo nel villaggio di Liwolow, a ovest di Kajo Keju, accusato di collaborazione con il governo. Questo evento ha segnato l’inizio di un violento scontro tra i ribelli e le forze di governo nell’area di Kajo Keji, e molti civili hanno abbandonato la zona. L’esodo di civili ha aiutato i ribelli: le forze di governo si sono trovate a dover contare solo sulle proprie risorse, non potendo più rifornirsi nei mercati cittadini.

I mesi successivi sono seguiti all’insegna del caos. Attualmente il governo controlla quattro guarnigioni a est, mentre il restante territorio è in mano ai ribelli. Il successo dei ribelli in quest’area è in parte dovuto ad un netto miglioramento della loro organizzazione e ad un efficiente reclutamento, ma anche al supporto dei civili, che si sentono più sicuri sotto al loro controllo rispetto all’esercito regolare. I soldati dell’ELPS sono, infatti, autori di abusi, violenze sessuali e omicidi a scapito degli abitanti equatoriani.

Le armi sono la più importante risorsa che scarseggia ai ribelli. La comunità internazionale si è rifiutata di imporre al Sud Sudan un embargo di armi, che bloccherebbe l’arrivo di nuove risorse sia ai ribelli sia all’esercito regolare. La scarsità di munizioni è tale che i ribelli accusati di spreco vengono puniti con frustate alla schiena.

A rendere critica la situazione dei civili a Kajo Kejo non è solo la violenza. Taban Dafala, l’unico dottore rimasto a Jalimo (villaggio nella contea) ha dichiarato: “La malaria è il problema maggiore, seguita da tifo, vermi, infezioni fungine e problemi alla pelle. Non c’è acqua per lavarsi o pulire i vestiti, ed è per questo che i problemi alla pelle si sono diffusi”. Dafala non dispone di abbastanza medicine per poter curare adeguatamente i suoi pazienti.

La maggior parte dei civili a Kajo Keji sono riuniti in tre “campi" situati nella parte ovest della contea. Questi assembramenti sono un insieme di fango, erba e capanne di plastica. Secondo le Nazioni Unite, circa 30.000 persone hanno trovato riparo in queste abitazioni. I residenti devono combattere ogni giorno contro la fame, viste le scarse distribuzioni di cibo; gli aiuti umanitari provenienti dall’Uganda sono infatti controllati a Juba da agenzie che operano con il governo.

Circa tre quarti della popolazione di Kajo Keji è sfollata in Uganda, dove al nord i villaggi ugandesi si mischiano ai campi rifugiati. Nonostante la politica migratoria aperta dell’Uganda, la vita per i rifugiati sud sudanesi è estrema e le condizioni nei campi sono critiche, in primis a causa della fame e dal frequente ritardo nell’arrivo delle razioni. Anche la sicurezza è a rischio: nonostante l’esercito ugandese si sforzi di bloccare i militanti dell’ELPS al confine, alcuni militari sono riusciti a portare a compimento incursioni nei campi rifugiati, uccidendo i civili scampati ai massacri in Equatoria. Nonostante tutto però, i campi rappresentano un’alternativa più sicura alle case che i sud sudanesi hanno dovuto abbandonare.

Con il peggiorare della situazione in Sud Sudan, ci sono poche speranze di una conclusione rapida del conflitto civile. Il governo ha rotto la debole tregua da lui stesso definita, e i ribelli continuano implacabili la loro lotta.

 

Per saperne di più, leggi:

http://www.irinnews.org/special-report/2017/07/12/war-equatoria

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