Un peacebuilding a guida africana per stabilizzare il Sahel

Sessione di formazione di peaceekpers senegalesi Sessione di formazione di peaceekpers senegalesi © US military on Wikimedia

Questo articolo è una breve presentazione del rapporto di SIPRI sulla mediazione e il peacebuilding in Sahel

Nel corso degli anni, ingenti risorse e numerosi attori sono stati coinvolti nella stabilizzazione del Sahel con scarsi risultati. Per questa ragione, il nuovo report del Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) dal titolo “Mediazione dei Conflitti e Peacebuilding in Sahel. Il ruolo dei paesi magrebini nel quadro africano” cerca di proporre un nuovo approccio che, attraverso il coordinamento regionale guidato dall’Unione Africana, sia in grado di coordinare e migliorare l’azione dei diversi attori regionali e internazionali coinvolti nel peacebuilding. L’obiettivo è quello di affrontare in maniera più efficace le sfide della regione legate all’estremismo, allo stato di diritto, all’ambiente e alle difficoltà socioeconomiche.

Le ragioni dietro alla crisi del Sahel vanno ricercate sia in fattori regionali, come le questioni legate ai Tuareg nel nord del Mali e del Niger e la più ampia crisi malese attualmente in corso, sia in fattori esterni, come l’instabilità portata dalla vicina guerra in Libia. Il SIPRI sottolinea come tradizionalmente i paesi del Maghreb abbiano avuto un importante ruolo mediatore nella regione, divenendo fondamentali nella stabilizzazione di quest’ultima. I due stati più influenti erano la Libia, attualmente non-esistente in quanto stato, e l’Algeria, le cui capacità conciliative sono compromesse dalle crescenti tensioni con il Marocco e la Comunità economica degli Stati dell'Africa Occidentale (ECOWAS). Questi elementi di instabilità hanno portato ad un indebolimento dei diversi stati saheliani, portando alla proliferazione di gruppi terroristici e reti criminali.

Il numero di attori coinvolti nei processi di peacebuilding nel Sahel è indubbiamente alto, con un forte presenza dell’Unione Africana (AU), l’ECOWAS, le Nazioni Unite (ONU), il Gruppo dei 5 per il Sahel (G5 Sahel) e l’Unione Europea (UE). Il report però evidenzia come sia necessaria una migliore coordinazione degli sforzi e, per questa ragione, propone un approccio al peacebuilding basato sul livello in cui le organizzazioni operano, suddividendo l’azione in mediazione nazionale, mediazione locale e peacebuilding locale. La natura regionale del conflitto richiede che al centro dell’azione ci siano proprio gli attori africani che godono di una maggiore legittimità e conoscenza del contesto locale in cui operano, permettendo una migliore integrazione tra il peacebuilding e la mediazione locale.

Il SIPRI ritiene che l’attore storicamente più idoneo a guidare il processo di mediazione nazionale sia l’Algeria. Tuttavia, le recenti tensioni hanno dimostrato  che l’azione algerina deve comunque essere integrata nel quadro d’azione dell’AU, che ad oggi si dimostra la più inclusiva e meglio equipaggiata a mediare, coordinare e promuovere gli sforzi volti a fronteggiare le crescenti complicazioni della crisi saheliana.

I diversi attori internazionali, soprattutto se non-africani, sono quindi incoraggiati a impiegare le loro ingenti risorse e a condividere le loro pratiche attraverso i quadri e il coordinamento dell’AU, in particolare per quando riguarda il ruolo giocato nella mediazione locale dall’ONU e la sua Missione in Mali (MINUSMA) e il ruolo dell’UE e il Regno Unito nel peacebuilding locale. L’obiettivo è quello di raggiungere un’integrazione reciproca in grado di rispondere in maniera efficace e inclusiva alle sfide locali, nazionali e internazionali, per poter promuovere collettivamente una pace di lungo periodo nel Sahel.

 

 

Per saperne di più:

https://www.sipri.org/sites/default/files/2021-01/sipripp58_3.pdf

 

Autore: Matteo Consiglio; Editor: Margherita Curti

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