La Turchia e la minaccia dei mujahiddin rimpatriati

Affiliati di IS che salgono sui camion per essere rimpatriati Affiliati di IS che salgono sui camion per essere rimpatriati © Affarinternazionali

Questo articolo è una breve presentazione del rapporto dell’International Crisis Group su come la Turchia si occupa dei rimpatriati del Califfato

A partire dal 2013, la Turchia è diventata uno dei luoghi più soggetti al reclutamento da parte del gruppo terroristico noto, allora, come Stato Islamico dell’Iraq e di al-Sham (ISIS), che - il 29 giugno 2014 - ha annunciato la (ri)nascita del Califfato, autoproclamandosi Stato Islamico (IS). Le stime, infatti, riportano che i cittadini turchi immigrati nei territori del sedicente “Stato Islamico” per combattere il jihad vanno dai 5.000 ai 9.000. Il rimpatrio di questi mujahiddin, in seguito alla caduta di IS – quindi – rappresenta una grave minaccia per Ankara, non solo perché crea un problema di gestione delle frontiere con la Siria, ma anche perché mette in pericolo la stabilità interna dello Stato. 

Come sottolinea l’International Crisis Group (ICG), la Turchia ha già vissuto tre ondate di ritorno di mujahiddin costretti ad abbandonare l’IS a causa delle sconfitte militari contro la coalizione internazionali a guida USA. La prima ondata si è verificata tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 durante la battaglia per la conquista di Kobane contro l'Unità di Protezione Popolare (YPG); la seconda è avvenuta mentre era in corso l’operazione turca Scudo dell’Eufrate (2016-2017), tesa a sconfiggere IS e a bloccare l’avanzata curda nel Rojava; la terza ondata si è avuta durante la battaglia per la liberazione di Raqqa nel 2017. Da allora i mujahiddin e le famiglie di IS continuano a far ritorno in Turchia. 

Sebbene Ankara si senta minacciata dagli ex-combattenti del Califfato, le autorità e i funzionari turchi considerano questi rimpatriati meno pericolosi di altri e pongono IS alla stregua del gruppo FETÖ e del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), dichiarate “organizzazioni terroristiche”. Per tale motivo, la Turchia ha elaborato delle politiche che non fanno distinzione fra gli affiliati di IS e i ribelli appartenenti agli altri gruppi militanti, non considerando, invece, che ognuno di loro rappresenta una minaccia a sé stante per lo Stato. Così, il governo, piuttosto che pianificare programmi volti al reinsediamento e all’integrazione sociale degli ex-jihadisti, sembra intenzionato a concentrarsi maggiormente sulla prevenzione, in modo da evitare che la popolazione turca sia ancora soggetta al reclutamento. 

Nello specifico, le strategie adottate dalla Turchia per far fronte alla minaccia rappresentata dai rimpatriati dello “Stato Islamico” sono la detenzione, il monitoraggio e la sorveglianza di individui sospetti e pericolosi, i procedimenti giudiziari e le attività di prevenzione nelle carceri.

La detenzione e la sorveglianza degli individui sospettati di avere legami con la rete terroristica di IS dura dai due ai quattro giorni. Da parte dei servizi di sicurezza turchi è considerata una delle misure preventive più efficaci, in quanto dissuade le potenziali reclute di affiliarsi ad IS e rappresenta un chiaro avvertimento per coloro che perpetrano atti di violenza della possibilità di poter essere catturati in qualsiasi momento. Tuttavia, le detenzioni a breve termine hanno anche un effetto negativo: potrebbero far aumentare il risentimento nei confronti dello Stato e spingere gli individui ad una maggiore violenza. 

Per quanto riguarda i procedimenti giudiziari, l’ICS ha sottolineato, sebbene negli ultimi anni il numero dei processi contro i rimpatriati di IS sia aumentato, solo una piccola parte di questi vi è sottoposta. La maggior parte di coloro che subiscono un processo sono condannati a un periodo compreso tra i cinque e i dieci anni per appartenenza a un'organizzazione terroristica. Tuttavia, i detenuti possono anche essere rilasciati in anticipo per buona condotta dopo aver scontato tre quarti della pena o viene loro concessa una riduzione di pena in base ad una clausola di "rimorso attivo" se accettano di condividere le informazioni.

Le attività di prevenzioni nelle carceri, invece, sono volte a bloccare la diffusione dell’ideologia salafita-jihadista propagandata dai mujahiddin detenuti. Proprio per questo, la Turchia ha scelto di isolare gli ex-jihadisti dagli altri e di rinchiuderli in ali separate delle carceri di massima sicurezza. Tuttavia, a causa del sovraffollamento, tale misura non è sempre attuabile e il rischio peggiore è che al loro interno si creino cellule terroristiche gerarchicamente strutturate.

Data la sostanziale inefficacia delle politiche e misure adottate da Ankara per gestire il problema dei rimpatriati appartenenti ad IS, secondo l’ICG, il governo dovrebbe correggere i difetti che queste mostrano e soprattutto elaborare delle strategia che siano tese alla loro integrazione sociale e che non si concentrino sulla prevenzione attraverso gli strumenti di intelligence, ma che colgano i reali bisogni della popolazione turca e i motivi che spingono gli individui ad affiliarsi ad IS.

 

Per saperne di più:

https://www.crisisgroup.org/europe-central-asia/western-europemediterranean/turkey/258-calibrating-response-turkeys-isis-returnees

https://it.insideover.com/guerra/la-turchia-rimpatria-i-primi-rifugiati-siriani.html

https://www.quotidiano.net/cultura/daesh-significato-1.2379975

https://www.thezeppelin.org/operazione-scudo-sulleufrate-lintervento-turco-in-siria/

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2017/06/02/feto-lo-profondo-turco-misteri-del-tentato-golpe-092523

 

Author: Antonella Palmiotti

Letto 405 volte