La decisione del Comitato di rivedere il proprio Commento Generale n. 1 (1997) e di emettere nuove linee guida sulla portata dell’articolo 3 della ‘Convenzione contro la Tortura e altre Pene o Trattamenti Crudeli, Inumani o Degradanti’, è stata determinata dalla considerazione che la maggior parte delle comunicazioni, ricevute ai sensi dell’articolo 22 della Convenzione, si riferiscono a presunte violazioni, da parte degli Stati Membri, dell’articolo 3 della stessa. Di conseguenza, nel suo nuovo Commento Generale No. 4 (2017), il Comitato intende fornire una guida aggiornata relativamente all’implementazione del suddetto articolo 3, nonché alla procedura finalizzata all’accertamento della legittimità e del merito delle comunicazioni ricevute nel contesto dell’articolo 22.
Ai sensi dell’ articolo 3, paragrafo 1 della Convenzione, “nessuno Stato membro espelle, respinge, né estrada una persona verso un altro Stato, qualora vi siano fondati e gravi motivi di ritenere che in tale Stato la persona rischi di essere sottoposta a tortura”. Il secondo paragrafo del medesimo articolo stabilisce poi che, nel determinare l’esistenza di tali motivi, le autorità competenti tengono conto di ogni fattore di rilevanza, compresa, se del caso, “l’esistenza, nello Stato interessato, di un insieme di violazioni sistematiche, gravi, flagranti o massicce, dei diritti dell’uomo”. Tali violazioni includono, ma non sono limitate a, l’uso diffuso della tortura o di altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti; l’impunità dei suoi autori; l’esistenza di situazioni di conflitto armato internazionale e non-internazionale; la commissione di molestie e violenze contro gruppi minoritari; l’esistenza di fondate accuse di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra; la presenza diffusa di violenza fondata su questioni di genere; il diniego delle garanzie del giusto processo; il diniego del diritto alla vita, inclusa la pratica della pena di morte e l’esposizione ad uccisioni stragiudiziali o sparizioni forzate.
Ai sensi dell’articolo 22 della Convenzione, il Comitato riceve e valuta le comunicazioni presentate da ogni individuo, o chi per esso, che affermi di esser stato vittima di una violazione della Convenzione. In tali circostanze però, così come precisato dal paragrafo 5 (b) del medesimo articolo, il denunciante “deve aver esaurito tutti i ricorsi interni disponibili”. Nel contesto di una presunta violazione dell’articolo 3, tale principio fa riferimento a tutti quei rimedi che, in concreto, impedirebbero la deportazione della persona interessata in un Paese dove quest’ultima rischierebbe di essere sottoposta a tortura.
Per quanto riguarda l’onere della prova, il Comitato ritiene che, salvo deroghe, il compito di fornire argomentazioni convincenti in merito alla propria causa, spetti al denunciante. Tuttavia, una volta che la comunicazione è stata depositata, rientra nelle responsabilità dello Stato interessato quella di valutare, attraverso procedure amministrative e/o giudiziarie, se sussistono o meno dei fondati motivi di ritenere che la persona sia soggetta ad un “prevedibile, attuale, personale e reale rischio di essere sottoposto a tortura, qualora deportato”. Fattori indicativi di un possibile rischio individuale includono l’origine etnica del denunciante; la sua affiliazione politica o religiosa; l’identità di genere; la sua precedente sottoposizione a tortura o detenzione in incommunicado.
La decisione del Comitato è principalmente fondata sulle informazioni fornite dallo Stato interessato e dal denunciante, o chi per esso/a. Il Comitato potrà inoltre consultare ogni altra fonte di informazione considerata pertinente, rilevante ed affidabile. Ciò nonostante, come altresì precisato nelle nuove linee guida, il Comitato non è vincolato da alcun previo accertamento dei fatti in questione e la sua decisione è indipendente.
Per maggiori informazioni, visitare:
http://www.ohchr.org/Documents/HRBodies/CAT/CAT-C-GC-4_EN.pdf