Come l’ONU affronta la violenza sessuale legata ai conflitti armati

Stretta di mano tra il Comandante della MONUSCO e una donna appartenente alle forze di pace nepalesi Stretta di mano tra il Comandante della MONUSCO e una donna appartenente alle forze di pace nepalesi © MONUSCO / Guy Karema

Questo articolo è una breve presentazione del report del Centro per i Civili in Conflitto sulle missioni ONU e la violenza sessuale

Secondo il report redatto dal Centro per i Civili in Conflitto (CIVIC), la necessità di proteggere i civili dalla violenza sessuale legata ai conflitti (CRSV – sigla inglese) venne riconosciuta dalle Nazioni Unite per la prima volta nel 2000, attraverso l’adozione della risoluzione 1325, con la quale il Consiglio di Sicurezza la incluse tra i compiti delle missioni di peacekeeping.

Passi in avanti per affrontare tale questione vennero fatti sia con la risoluzione 1820 - adottata dal Consiglio di Sicurezza nel 2008 - che etichettò la violenza sessuale correlata ai conflitti come una «minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale» e stabilì lo sviluppo di adeguati programmi di formazione per le forze di pace (peacekeepers) affinché fossero in grado di riconoscere, prevenire e rispondere alla violenza sessuale, sia tramite la risoluzione 1888, che, approvata l’anno successivo, identificò la protezione di donne e bambini dalla violenza sessuale come una responsabilità delle missioni di peacekeeping

Tuttavia, predire quando potrebbero verificarsi violenze sessuali o individuarne le vittime non è così semplice, poiché i segni che queste lasciano sono spesso meno visibili rispetto ad altri danni perpetrati durante un conflitto armato. Proprio per questo motivo è essenziale che la pianificazione delle missioni ONU venga elaborata su alcune fasi e processi: raccolta di informazioni sulle minacce della violenza sessuale; condivisione dei dati tra i peacekeepers e gli attori umanitari operanti nella stessa area; attività di reporting integrato attraverso centri operativi congiunti (JOC – sigla inglese) e database;  risposta integrata delle missioni di peacekeeping articolata su tre livelli; sviluppo della capacità degli attori nazionali di prevenire e rispondere alle violenze sessuali legate ai conflitti. 

Per quanto riguarda la raccolta di informazioni, il CIVIC ha rilevato che per questa fase è fondamentale il ruolo della componente femminile delle missioni, perché le donne delle comunità locali sono più disposte a raccontare loro le proprie esperienze drammatiche e sofferenze invece che a degli uomini. Questo processo, però, è ostacolato da alcuni fattori limitanti, come il basso livello di istruzione delle donne e la scarsa conoscenza dell’inglese, che rendono difficili le comunicazioni tra i locals e i peacekeepers.

Dal momento che i dati registrati non sono attendibili, i peacekeepers devono confrontarsi e condividere le informazioni con gli attori appartenenti alle organizzazioni umanitarie operanti in loco, alle quali – a volte – forniscono supporto economico e formazione per aumentarne la capacità di tracciare e monitorare le minacce della violenza sessuale.

Per creare un quadro operativo comune e promuovere il coordinamento tra le diverse sezioni delle missioni, le informazioni raccolte vengono tradotte in report integrati attraverso i JOC, mentre la qualità del tracciamento della minaccia viene assicurata dall’utilizzo di database che tengono conto di alcuni indicatori, quali il genere, per stabilirne l’incidenza e redigere un’analisi più approfondita e sensibile. 

Dal punto di vista operativo, invece, il CIVIC riporta che le missioni di peacekeeping pianificano la protezione dei civili attraverso tre livelli: dialogo con potenziali autori delle violenze e con i governi; protezione fisica tramite azioni militari; creazione di una cornice di sicurezza e di un ambiente protettivo. In quest’ultimo livello rientrano le attività intraprese per sviluppare le capacità dei governi locali di prevenire o rispondere prontamente alle minacce poste dalle violenze sessuali legate ai conflitti.

Nonostante questo complesso meccanismo, l’efficacia che l’ONU ha dimostrato e dimostra nella protezione dei civili dalle violenze sessuali legate ai conflitti è ancora molto bassa, soprattutto a causa del mancato coordinamento delle diverse sezioni che condividono lo stesso obiettivo e la sottovalutazione dei limiti alla comunicazione e partecipazione degli attori locali. Pertanto, il CIVIC ha suggerito di: rafforzare il coordinamento tra le diverse attività delle missioni; migliorare lo scambio di informazioni tra peacekeepers, analisti e organizzazioni umanitarie al fine di considerare tutte le minacce della CRSV; coinvolgere i governi locali, i gruppi non statali e armati; continuare ad assumere personale femminile; creare dei programmi tesi a favorire la comunicazione con i locali, soprattutto donne e bambini; e sviluppare sistemi di tutela e monitoraggio più efficienti.

 

Per saperne di più:

https://civiliansinconflict.org/wp-content/uploads/2020/10/CIVIC_Peacekeeping_Report_EN_FINAL_web.pdf

 

Autore: Antonella Palmiotti

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