Non ci può essere una pace duratura senza la società civile

Marine statunitense dà un giocattolo a una bambina durante una missione di perlustrazione in Afghanistan Marine statunitense dà un giocattolo a una bambina durante una missione di perlustrazione in Afghanistan © DVIDSHUB

Questo articolo è una breve presentazione del rapporto di Alliance for Peacebuilding e Peace Direct sulle prospettive del GFA nel peacebuilding

 Nel 2019 gli Stati Uniti hanno approvato il Global Fragility Act (GFA) per interfacciarsi con e prevenire conflitti armati, col fine ultimo di garantire una pace duratura. Per raggiungere questo obiettivo, il governo ha deciso di concentrarsi sul coinvolgimento nei processi di peacebuiling di tutti gli attori governativi e non-governativi a livello locale e nazionale. Per questa ragione, nel mese di luglio, l’Alliance for Peacebuilding –un network di più di 120 organizzazioni di settore-  e l’organizzazione non governativa Peace Direct, in seguito alla consultazione di 140 peacebuilders da oltre 39 paesi, hanno pubblicato il report “Le Prospettive dei peacebuilders locali sul Global Fragility Act statunitense”. Il rapporto indaga sulle principali prospettive presenti e future di attori come gli Stati Uniti per un'efficace implementazione di politiche come il GFA.

Il rapporto evidenzia come i diversi peacebuilders locali si dimostrino aperti e disposti alla collaborazione, mostrando le potenzialità per il governo statunitense nel consultare ed integrare soggetti locali nei propri processi operativi. La partecipazione di attori locali permette di ottenere una conoscenza più olistica e capillare delle diverse dinamiche contestuali e del ruolo chiave giocato dalla società civile, come provato dalla lotta contro il COVID nei contesti più precari. L'incorporazione degli attori locali deve però prendere in considerazione una serie di fattori. Da un lato, è necessario includere tutti gli attori appartenenti ad un determinato contesto senza etichettarli come “cattivi” o “buoni”. Per raggiungere questo obiettivo diventa cruciale comprendere quali siano i gruppi marginalizzati - dalle donne alle minoranze – e  capire, assieme agli attori locali, come superare le barriere contestuali di natura culturale, linguistica, geografica, storica o politica che provocano tale marginalizzazione. Dall’altro lato, l’approccio a questi attori deve garantire la sicurezza di tutte le parti col fine ultimo di creare un ambiente di genuina collaborazione, protezione e ascolto di tutti i gruppi. Se tale inclusione è garantita in maniera tempestiva, è possibile costruire una fiducia a lungo termine tra le parti, presupposto di base per dei rapporti pacifici e stabili. 

Il rapporto, inoltre, raccomanda agli Stati Uniti e ad attori affini di approcciarsi a questi contesti senza soluzioni o antidoti preconfezionati e tentando di non considerare le organizzazioni locali come meri esecutori. È invece necessaria una propensione all’ascolto, inclusione e apprendimento senza pregiudizi nei confronti degli attori locali. Per questa ragione, viene incentivato un approccio che pone in primo piano gli attori locali, riconoscendo la loro capacità di comprendere i bisogni contestuali e considerandoli, quindi, come i più competenti nella formulazione ed implementazione di progetti e soluzioni. Sta dunque a soggetti come gli Stati Uniti portare avanti una crescita sostenibile di iniziative locali preesistenti e i creare programmi e finanziamenti flessibili e pluriennali che includano i peacebuilders e la società civile in tutte le fasi. Solo in questo modo essi saranno in grado di dare una risposta rapida ed efficace agli scenari locali in costante evoluzione. In aggiunta, gli attori esterni giocano un ruolo cruciale nel fornire risorse e competenze non generalmente accessibili agli attori locali, come ad esempio supporto medico, psicologico e traumatologico – fondamentale per il processo di riconciliazione. Attori come gli Stati Uniti devono usare la loro posizione per coadiuvare la riconciliazione ed esercitare pressione sugli attori locali e governativi, restii a collaborare ma disponibili a ricevere fondi. In conclusione, solo un approccio trasparente, consistente e che parte dal basso può permettere di capire le cause di un conflitto e individuare le soluzioni efficaci e durature senza fermarsi a gestire solo le sue conseguenze, perché – come affermato nel rapporto stesso– la pace è un processo di lungo periodo, non un progetto. 

 

Per saperne di più:

https://www.peacedirect.org/us/wp-content/uploads/sites/2/2020/07/p4d-gfa-report.pdf

 

Autore: Matteo Consiglio; Editor: Margherita Curti

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