Il Sahel nella spirale di violenza

Un soldato del Niger Un soldato del Niger AFP

8 marzo 2020

Il Sahel è stato il centro di una spirale di violenza che è concentrata attorno ai gruppi armati, al terrorismo jihadista, e ai conflitti intra-etnici

 Il Sahel è una regione del Sud, semi-arida, al di sotto del Sahara, che comprende diversi Stati, dal nord del Senegal sulla costa Atlantica, fino a parti della Mauritania, del Mali, del Burkina Faso, del Niger, della Nigeria, del Chad, fino al Sudan e all’Eritrea sul Mar Rosso. 

Oltre ai drastici cambiamenti climatici che hanno interessato la regione da alcuni anni, con periodi di siccità che colpiscono una già vulnerabile popolazione ivi residente, una cosiddetta “palla di fuoco di conflitti” ha colpito l’area dal 2012. Un’alleanza di gruppi jihadisti del Sahel, sino ad allora largamente confinati nel nord del Paese, hanno unito le proprie forze con dei ribelli separatisti Tuareg per conquistare diverse città strategiche, inclusa quella di Timbuktu. Ciò ha provocato un intervento militare da parte della Francia per fermare la loro avanzata verso la capitale Bamako, e per prevenire il totale collasso dello Stato Maliano. Dal 2012, l’area ha visto l’ascesa di due principali gruppi jihadisti, quello collegato ad al-Qaeda di Jama’at Nasr al Islam wal Muslimin (JNIM) e quello affiliato all’ISIS dello Stato Islamico nel Gran Sahara (ISGS). Altri gruppi operanti nella regione includono al-Mourabitoun, Ansarul Islam, Plateforme, Ansar al-Din e Boko Haram. 

Focalizzandoci sul Mali, il Burkina Faso e il Niger, possiamo chiaramente osservare come, al momento attuale, il livello di violenza possa qualificarsi come pulizia etnica: i gruppi jihadisti stanno manipolando i conflitti inter-comunitari, sfruttando le debolezze etniche della regione per provocare violenza che può essere molto più mortale di qualsiasi cosa i militanti facciano direttamente da sè. I governi hanno anche aiutato le milizie locali a svilupparsi, permettendo, e in alcuni casi incoraggiando la proliferazione di gruppi armati comunitari - decisioni che stanno cominciando a far sentire i loro effetti nelle zone interessate, mentre i conflitti intracomunitari aumentano. Ed è una realtà che i civili guardano ai jihadisti per un supporto che lo Stato non fornisce, dato che i gruppi radicali spesso comprendono le afflizioni sociali delle comunità locali. In effetti, un recente studio dell’associazione di pace no-profit International Alert attribuisce l'aumento dell’estremismo radicale nel Sahel agli Stati deboli, piuttosto che all’ideologia religiosa.  Dall’altro lato, invece, i civili stanno addirittura diventando le vittime delle forze di sicurezza, come riportato da The New Humanitarian, che si aggiungono all’assenza di sicurezza, uccidendoli durante le operazioni di anti-terrorismo. Nel Burkina Faso, le forze dell’esercito stanno uccidendo tre volte più civili che jihadisti. Ancor più, lo sfollamento, l’insicurezza alimentare, e altre crisi umanitarie stanno aumentando, ma le risorse per rispondervi mancano: circa 5,1 milioni di persone sono in bisogno di assistenza umanitaria, e la nuova ondata di violenza sta aggravando i bisogni già esistenti e “minacciando le vite e le condizioni di vita dei civili”, ha affermato un ufficiale delle Nazioni Unite. Dal 2013, quando l’intervento Francese ha scacciato i jihadisti e i Tuareg, i militanti si sono riuniti, e le insorgenze si sono diffuse nel centro del Mali. Il 2018 ha visto la più alta conta di corpi da quando il conflitto è cominciato nel 2012, e la situazione ha continuato a deteriorarsi nel 2019, con 133000 persone sfollate da Gennaio. Molta della violenza è concentrata nel centro e riguarda membri armati della comunità Fulani - che è accusata di unirsi e dare rifugio ai jihadisti -  e le milizie Dogon e Bambara. Nel Marzo 2019, almeno 157 uomini, donne e bambini Fulani sono stati uccisi in un attacco ad opera di una milizia Dogon nel centro del Mali. 

Andando al Burkina Faso, invece, possiamo affermare che il Paese non ha mai sperimentato uno sfollamento di massa o un conflitto come questo prima d’ora. La nazione ha combattuto con un'insorgenza jihadista nel nord dal 2016, nelle vicinanze del suo poroso confine con il Mali. Ma lo scorso anno, i militanti si sono spostati nelle regioni dell’est e del sudovest del Paese, a poca distanza da diverse nazioni, lungo la costa dell’Africa Occidentale. Mentre questi acquistano terreno, il numero di attacchi si sta moltiplicando e la risposta da parte dell’esercito sta diventando sempre più brutale. Come nel Mali, la crisi si è sviluppata in un più ampio conflitto inter-comunitario che vede le stigmatizzate comunità Fulani contro un insieme di milizie etniche. Il numero di persone sfollate è nel frattempo schizzato a 160000, con più di 100000 in fuga solamente nei cinque mesi passati. Per ciò che concerne il Niger, infine, la crisi umanitaria scoppiata lungo la frontiera ovest del Paese, che confina con il Mali e il Burkina Faso, è sfortunatamente in gran parte invisibile. I gruppi jihadisti situati nell’area sono apparsi sui titoli dei giornali nell’ottobre 2017, dopo aver ucciso quattro soldati Statunitensi: da allora, hanno dovuto affrontare operazioni militari da parte delle forze Nigeriane, supportate da truppe Francesi e Statunitensi, oltre che da gruppi di milizie Maliane, ma queste non sono riuscite ad annullare la minaccia, e l'attacco ai pastori Fulani da parte delle milizie ha riportato in vita tensioni inter-comunitarie vecchie di ere. Violenza giornaliera e un clima di paura hanno ora sfollato 70000 persone, molte in zone in cui gli operatori umanitari fanno fatica ad accedere. Come notato da The New Humanitarian, tali disordini rappresentano una seconda crisi di confine per un Paese che sta ancora affrontando la minaccia da tempo esistente di Boko Haram nella regione a sudest di Diffa. 

Nel mezzo di tutto ciò, una forza militare multinazionale finanziata da donatori internazionali, inclusi gli Stati Uniti e l’Europa, comprendente truppe fornite dal corpo regionale del G5 Sahel - Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania e Niger - è intervenuta per cercare di risolvere la situazione, ma ha infine fatto fatica a fermare la violenza da quando ha cominciato le operazioni nel 2017, in mezzo a una persistente mancanza di fondi e a dispute sul coordinamento. A inizio Febbraio, intanto, la Francia ha annunciato che avrebbe espanso la sua presenza militare nella regione e inviato 600 truppe addizionali alla sua missione di 4500 uomini già presente. 

Ciò è avvenuto dopo che un summit tra Francia e G5 Sahel a Gennaio è terminato con i leader che acconsentivano alla creazione di una nuova struttura volta a portare assieme sotto un singolo comando le forze delle due parti, nonchè a facilitare operazioni congiunte e a migliorare la condivisione dei servizi di intelligence. Durante il summit a Pau, il Presidente Francese Emmanuel Macron ha anche voluto una chiara dichiarazione dalle sue controparti a conferma della loro preferenza per l’impegno militare della Francia, in un momento di crescente sentimento anti-Francese in alcune di queste nazioni, nel mezzo di una situazione della sicurezza rapidamente deteriorantesi. 

Ancor più, a Settembre, i leader del blocco regionale della Comunità Economica degli Stati Occidentali Africani (ECOWAS), ha annunciato un piano da un miliardo di dollari per aiutare nella lotta contro i gruppi armati: l’aiuto finanziario è previsto essere in forza dal 2020 al 2024, nel mezzo di crescenti preoccupazioni da parte di diversi Stati occidentali Africani di essere colpiti anch’essi da attacchi.

 

Per saperne di più: 

https://www.aljazeera.com/indepth/features/sahel-key-security-crisis-spirals-200121094444460.html

https://www.reuters.com/article/us-africa-sahel-aid/violence-affects-more-people-than-ever-before-in-africas-sahel-idUSKCN1TS2EJ

https://www.thenewhumanitarian.org/in-depth/sahel-flames-Burkina-Faso-Mali-Niger-militancy-conflict

 

Autore: Pasquale Candela; Editor: Shrabya Ghimire

Letto 586 volte