Rohingya apolidi: una crisi in corso spesso dimenticata dal mondo

Uno sguardo all’ interno dei campi profughi abitati dalle comunità Rohingya Uno sguardo all’ interno dei campi profughi abitati dalle comunità Rohingya © Wikicommons

A cavallo tra il buddhista Myanmar e l’inospitale Bangladesh, i Rohingya si trovano rifiutati da due paesi e senza alcun posto dove trovare riparo.

Risale al 12 settembre 2024, l’allarme lanciato da UNICEF circa l'uccisione di 24 civili della comunità Rohingya, tra cui 10 minori in una sola settimana. Questo evento è avvenuto durante gli scontri continui dovuti alla guerra civile interna al Myanmar – le cui autorità non assicurano alcun genere di protezione alla minoranza etnica entro i suoi confini. Nel corso del 2024, 600 bambini sono stati uccisi o gravemente feriti, cadendo vittime di attacchi alle abitazioni Rohingya e alle scuole o luoghi frequentati dalla comunità. 

Le violenze dei recenti mesi si inseriscono  in un quadro ampio di violazioni e discriminazione subite da decenni, in cui  la minoranza musulmana si è vista privata dei suoi privilegi sociali, politici e economici, con conseguenti inosservanze gravi dei diritti fondamentali. Non solo i Rohingya non ricevono alcuna forma di tutela delle autorità statali, anzi è il governo stesso a non riconoscere la minoranza musulmana dei Rohingya e forzandoli a sopportare dure repressioni e/o intraprende cammini migratori.

I Rohingya sono una grande minoranza musulmana residente principalmente nel Rakhine State in Myanmar (paese di fede  buddista) e diventato da decenni il più grande gruppo etnico apolide - senza alcuna cittadinanza riconosciuta dal 1982, essendo esclusa dai censimenti nazionali. Negli anni sono stati vittime di torture, violenze sessuali, discriminazioni di genere, con un culmine raggiunto nel 2017, dove interi villaggi sono stati incendiati, radendo al suolo abitazioni e sterminando famiglie. Tale evento è degenerato in una grave crisi migratoria, con più di 750,000 Rohingya fuggiti in Bangladesh e altri 2-3 milioni di IDPs in fuga all’ interno dello stesso Myanmar. 

 Gli standard minimi di qualità della vita sono pressoché inesistenti per i membri rimasti in Myanmar, perseguitati dalla dittatura. Tuttavia, lo scenario non è tanto più roseo per coloro che tentano la fuga via terra cercando di superare  le frontiere per arrivare in Bangladesh o via mare attraversando il Golfo del Bengala e persino spingendosi  fino all’Indonesia o Malesia – sfidando piogge monsoniche e caldo estremo. Parlando della storia dei Rohingya, un importante capitolo è dedicato al confinante Bangladesh. Infatti, è il paese che più di tutti ha fornito accoglienza ai rifugiati, ospitando ad oggi circa un milione nella Cox’s Bazar region, in alcuni dei campi profughi più  affollati in tutto il mondo .  Le condizioni igienico-sanitarie precarie, la scarsità di risorse e quantità di cibo, le pericolose infrastrutture di fortuna soggette ad allagamenti durante le stagioni monsoniche e l'inadeguatezza di servizi educativi per i minori del campo, rendono insostenibile la vita.

 Tuttavia, l’impossibilità di gestire il crescente numero di profughi che giornalmente arrivano in Bangladesh, insieme alle difficoltà socio-economiche e politiche che la nazione stessa si trova ad affrontare, hanno fatto sì che anche le autorità bengalesi iniziassero a vietare l’accesso ai profughi, negando diritto d’asilo o permessi di soggiorno per apolidi e  rimpatriandoli così in Myanmar

L’emergenza è fuori controllo,  i media internazionali  poco ne parlano e gli aiuti di UNHCR al Bangladesh non riescono a influenzare  le autorità nazionali, che adottano misure sempre più stringenti per i rifugiati.  Ed ecco che i Rohingya si ritrovano senza un posto in cui andare, senza una nazione a cui appartenere e senza diritti riconosciuti. 

 

Per saperne di più: 

 

di Francesca Sabia

Letto 18 volte