Cos’è il trattato per la proibizione delle armi nucleari e perché è stato firmato

Gli attivisti fanno una campagna per la proibizione delle armi nucleari Gli attivisti fanno una campagna per la proibizione delle armi nucleari © International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN).

Una riflessione personale di Artem Churliaev

A luglio 2017, una conferenza diplomatica ha adottato il Trattato per la proibizione delle armi nucleari, ma il suo futuro e suoi effetti eventuali sono ancora da vedere.

Il 7 luglio del 2017, una conferenza diplomatica tenutasi a New-York ha adottato il Trattato per la proibizione delle armi nucleari con 122 voti, il che rappresenta circa i due terzi dei paesi-membri dell’ONU. La conferenza era stata preceduta da un acceso dibattito sulle disposizioni del trattato e sulla sua necessità in generale. Infine, gli stati con armi nucleari, insieme alla maggioranza dei paesi della NATO, hanno rifiutato di prendere parte ai negoziati. Lo scopo di questo articolo è di fornire un quadro generale dell’attuale regime di non proliferazione, delineare le disposizioni del nuovo trattato e, infine, mettere in rilievo i suoi aspetti più problematici nella speranza di intavolare una discussione sull’argomento.

 

I pilastri della non proliferazione

Il rischio di proliferazione delle armi nucleari in giro per il mondo preoccupava le prime potenze mondiali. Gli sforzi di porre fine alla corsa alle armi nucleari risale al 1946, al cosiddetto Piano Baruch, che fu alla fine abbandonato a causa dell’inizio della Guerra Fredda tra gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica, che produssero entrambi le proprie armi nucleari. Più tardi, anche il Regno Unito, Francia e Cina fecero parte del “club nucleare”. La consapevolezza delle altre nazioni determinate ad acquistare le armi nucleari e dei pericoli alla sicurezza internazionale presentati dalla proliferazione ulteriore spinse i due blocchi a cercare un compromesso e negoziati su un trattato inteso a dissuadere le altre nazioni dal produrre le armi nucleari. I negoziati culminarono con il trattato di non proliferazione nucleare del 1968, e la proibizione delle armi nucleari a tutti i paesi ad eccezione di quelli che avevano testato un ordigno nucleare prima del 1967. Pertanto, gli Stati Uniti d’America, l’Unione Sovietica, il Regno Unito, la Francia e la Cina furono i soli paesi autorizzati a possedere le armi nucleari. Gli altri paesi del mondo dovettero rinunciare all’idea del nucleare in cambio di assistenza stati nucleari nel campo dell’energia atomica. L’assistenza, così come le misure di implementazione del trattato furono assegnati all’Agenzia internazionale per l'energia atomica. Da parte loro, i paesi nucleari si assunsero l’obbligo di perseguire un mondo senza armi nucleari. Fino a oggi il trattato ha rappresentato la pietra miliare del regime di non proliferazione. A livello universale, esso è stato corroborato dai trattati di bando dei test nucleari – quello parziale del 1963 e quello complessivo del 1996.

A livello regionale, iniziative di non proliferazione ebbero anche maggiore successo. Nel 1960, l’Antartide fu proclamata zona libera da armi nucleari, e più tardi trattati successivi vietarono la dislocazione di armamenti nucleari nello spazio e nel fondo marino. Tuttavia, fu il trattato di Tlatelolco a rappresentare  una vera svolta in termini di non proliferazione. Il trattato prevedeva la creazione di una zona libera da armi nucleari in America Latina e non autorizzava gli Stati parti a testare, utilizzare, produrre o acquistare le armi nucleari. In modo ancora più significativo, gli stati nucleari davano assicurazioni che non avrebbero utilizzato le armi nucleari contro gli Stati parti dell’accordo di Tlatelolco. L’autore dell’idea, Alfonso Garcia Robles, ricevette il premio Nobel e ultimamente tutti i 33 paesi dell’America Latina e dei Caraibi aderirono al trattato. Zone similari furono create nel Sud Est asiatico, a Sud del Pacifico, in Asia Centrale e in Africa. Inoltre, anche la Mongolia proclamò il suo territorio zona libera da armi nucleari, mentre altri paesi come l’Austria semplicemente bandirono le armi nucleari dal proprio territorio con leggi interne.

Dunque, il regime di non proliferazione si suddivide in due livelli: quello universale, con il trattato di non proliferazione al centro, e quello regionale, basato sui trattati regionali il cui status non nucleare viene garantito dagli stati nucleari.

 

Sfide alla non proliferazione e la strada al trattato nuovo.

Il regime creato, però, non era privo di difetti, visto che i trattati conclusi non hanno potuto assicurare la non proliferazione assoluta. Paesi come l’India, Pakistan, Israele e la Corea del Nord sono riusciti a produrre le proprie armi nucleari e finora sono considerati stati nucleari de facto, al contrario degli stati nucleari ufficiali secondo le stipulazioni del trattato di non proliferazione. Altri stati come l’Africa del Sud, Brasile e Libia avevano programmi nucleari ma hanno deciso poi di chiuderli.

Da una lato, alcuni paesi rimasero chiaramente insoddisfatti dalle decisioni prese negli anni sessanta riguardo a chi potesse e non potesse possedere le armi nucleari. Dall’altro, la società civile si andava consolidando sempre di più dopo la fine della Guerra Fredda. I decenni di confronto avevano visto la gente abituarsi a vivere in uno stato di permanente paura legato a un’imminente apocalissi nucleare, mentre il progresso scientifico poteva dipingere a tinte nette  lo scenario delle conseguenze orribili di una guerra nucleare. Anche i memoriali di hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, fornivano utili informazioni sull’eventuale dopoguerra nucleare. Dunque, gli attivisti della società civile, le organizzazioni non governative e il pubblico generale, soprattutto in Occidente, lanciarono una campagna per la proibizione totale delle armi nucleari.

Uno dei primi risultati della campagna fu il caso di armi nucleari davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU. L’Assemblea Generale chiese alla Corte di valutare la legalità di un eventuale uso di armi nucleari nei termini delle norme vigenti. Nello specifico, l’Articolo 51 del Protocollo Addizionale I alle Convenzioni di Ginevra proibisce in modo chiaro gli attacchi indiscriminati, cioè gli attacchi che non abbiano obiettivi militari specifici. La Francia e il Regno Unito posero una qualche riserva alla ratifica del Protocollo visto che a loro avviso  Protocollo “non regolarizza né proibisce l’uso delle armi nucleari”. La Russia e la Cina mantennero una posizione ambigua a riguardo, mentre gli altri stati nucleari ratificarono o il Protocollo. La Corte, dopo aver analizzato il quadro legale attuale, è arrivata alla conclusione che “la minaccia o l’uso delle armi nucleari generalmente sarebbe contrario alle regole del diritto internazionale applicabile nel conflitto armato”, ma non ha potuto adottare una decisione definitiva su una situazione di “circostanze estreme di autotutela sotto le quali la sopravvivenza stessa dello Stato sarebbe in pericolo”.  La decisione è stata presa in una votazione separata (7\7), con un voto decisivo del Presidente, e finora rimane una delle decisioni più controverse della Corte. Molti giuristi e organizzazioni di società civile hanno pubblicamente espresso il proprio disaccordo verso il ragionamento della Corte.

Dopo la pubblicazione del parere consultivo, la spinta per un trattato di proibizione delle armi nucleare è diventata anche più forte, ma gli stati nucleari hanno rifiutato qualsiasi discussione a riguardo. Infine, il trattato è stato adottato senza di loro.

 

Il trattato per la proibizione delle armi nucleari: disposizioni chiave

Il trattato adottato a luglio del 2017 riflette le disposizioni di base del trattato di non proliferazione e dei trattati regionali. Per esempio, proibisce agli Stati parti di sviluppare, trasferire o ricevere le armi nucleari, utilizzarle o autorizzarne qualsiasi dislocazione, installazione o spiegamento sul loro territorio; assistere o cercare assistenza in qualsiasi attività proibite dal trattato. Il regime di misure di controllo e implementazione, secondo il trattato, deve essere tecnicamente lo stesso regime del trattato di non proliferazione sotto controllo dell’Agenzia internazionale per l'energia atomica. Inoltre, il trattato obbliga gli Stati parti a creare un sistema nazionale di implementazione, assistere le vittime dell’uso o test delle armi nucleari e incoraggia gli Stati di facilitarne la ratifica universale. Infine, il trattato fissa incontri tra gli Stati parti e contiene qualche disposizione per la risoluzione delle controversie.

 

Le polemiche sul nuovo trattato

La breve analisi delle disposizioni del trattato dimostra come esso non conservi le ambizioni iniziali dei suoi proponenti. In sostanza, gli stati non si assumono impegni nuovi rispetto a quelli già stabiliti dal trattato contro la proliferazione e dai trattati regionali delle zone denuclearizzate. Anzi, circa l’80% dei paesi che hanno votato per il nuovo trattato sono già membri firmatari dei regimi regionali e hanno già obblighi molto più rigorosi in materia di armamenti nucleari. Resta da verificare quali stati, in effetti, firmeranno e ratificheranno il trattato. Anche se tutti i paesi che hanno votato a favore del trattato vi aderiranno il suo valore aggiunto non sembra così ragguardevole. Il restante 20% dei paesi che non fanno parte di alcun regime sono nondimeno membri firmatari del trattato contro la proliferazione delle armi nucleari, e hanno praticamente gli stessi obblighi previsti da questo strumento giuridico universale. Il trattato non prevede la creazione di una zona globale denuclearizzata, visto che mira alla totale eliminazione degli arsenali nucleari; qualsiasi menzione, nel testo del trattato, delle dichiarazioni di non uso degli stati in possesso di armi nucleari contraddirebbe questo scopo. L’unica differenza potrebbe riguardare la proibizione esplicita dello stoccaggio di armi nucleari sul territorio dello Stato membro, mentre sotto il trattato contro la proliferazione questa prassi era diventata in qualche modo  accettata (si pensi, ad esempio, all’Italia o ai Paesi Bassi, che hanno armi nucleari americane sul loro territorio), nonostante di recente questo provochi una serie di accuse reciproche tra la Russia e gli Stati Uniti d’America.

I sostenitori del nuovo trattato hanno ritenuto inefficace il trattato di non proliferazione delle armi nucleari in quanto, a loro parere, non avrebbe evitato del tutto l’ulteriore proliferazione e, inoltre, non avrebbe spinto le potenze nucleari a ridurre i propri arsenali. Gli oppositori di solito rispondevano che gli arsenali degli Stati Uniti d’America e della Russia, le due superpotenze nucleari mondiali le cui scorte di arsenali nucleari sono di gran lunga superiori a quelle di tutti gli altri paesi, furono già ridotti dell’80% a partire dal 1967, e ulteriori riduzioni sono ancora in fase di negoziazione. Per quanto riguarda la non proliferazione, nulla fa pensare che il nuovo trattato farà fronte a questa sfida in maniera più efficace, vista la sua dipendenza dal vecchio sistema di misure di controllo e implementazione.

È vero che il nuovo trattato garantisce che gli Stati firmatari possano in seguito rafforzarne le disposizioni e le misure di controllo, adottare nuovi protocolli, e così via; tuttavia, nella sua forma attuale il documento non sembra poter raggiungere il nobile obiettivo di un mondo libero dalle armi nucleari. Per compiere un forte gesto politico, la conferenza ha adottato un testo di compromesso che, in sostanza, non impone alcun obbligo (anche la sezione dedicata alla risoluzione delle controversie è redatta in maniera abbastanza morbida e non prevede esplicitamente un deferimento a un organo giudiziario o arbitrale) e che ha lo scopo solo di dimostrare una volontà politica. Gli autori stessi del trattato hanno ammesso che il loro obiettivo principale era di dimostrare le intenzioni della maggioranza dei paesi del mondo e, dunque, di esercitare pressioni morali sugli stati che dispongono di armi nucleari. Però, anche l’aspetto riguardante la volontà politica sembra problematico, visto che tutti gli stati che hanno votato per il nuovo trattato sostengono già praticamente gli stessi obblighi che sono previsti dal trattato. Se questo voto possa essere considerato come una valida espressione di opinio iuris, quello sarebbe un altro argomento di discussione (si veda il “paradosso di Baxter”).

 

Quale futuro?

Non sorprende che perfino alcuni Stati membri dei regimi regionali di non proliferazione (come l’Australia) non abbiano partecipato alla conferenza, se si considerano il numero di ambiguità presenti nel nuovo trattato e le paure che esso possa compromettere il trattato contro la proliferazione delle armi nucleari, piuttosto che rafforzarlo. Questo trattato sarà aperto alla firma a settembre, e l’elenco definitivo di firmatari non è ancora chiaro. Quello di cui si può esser certi è che il dibattito sul trattato sarà di estremo interesse.

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