Overview sulla violenza di genere come strumento di guerra

Donna della Repubblica Democratica del Congo Donna della Repubblica Democratica del Congo © Shutterstock

Cresce a livello internazionale la preoccupazione per il fenomeno degli stupri come arma di guerra

Lo scorso 25 novembre, in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, oltre 60 esperti delle Nazioni Unite, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui hanno affermato che sebbene le donne rappresentino più della metà della popolazione mondiale, queste sono a rischio di essere uccise o di essere soggette alle violenze e intimidazioni. La violenza contro le donne e le ragazze “è il risultato di forme di discriminazione intersezionale basata su fattori sociali, politici, economici, razziali, culturali, incluso nei contesti di conflitti armati”.  Hanno aggiunto che gli Stati e la comunità internazionale hanno l’obbligo ai sensi del diritto internazionale dei diritti umani di contrastare questa violenza. 

L’Ufficio del Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite per le violenze sessuali nei conflitti monitora i dati di questo fenomeno, i cui numeri continuano ad essere preoccupanti. La violenza sessuale è stata riconosciuta come tattica di guerra e strumento del terrorismo internazionale e utilizzata sempre più da attori non statali come i gruppi armati, milizie locali e organizzazioni criminali. Consistente continua ad essere però anche il ruolo degli attori statali armati, tra cui le forze di polizia. 

Secondo i dati ufficiali delle Nazioni Unite, questo fenomeno è diffuso principalmente in Etiopia, Mali, Myanmar, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Siria, Sud Sudan. Nel suo ultimo rapporto, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha sottolineato come la pandemia abbia amplificato l’ineguaglianza basata sul genere, la quale è una delle cause profonde e fattori principali della violenza nei contesti di guerra, ma anche di pace. Al preesistente problema di un basso numero di denunce si sono aggiunti il lockdown, il coprifuoco, il limitato accesso alle strutture di operatori sanitari e la riduzione di molti servizi medici, il che ha creato ulteriori barriere all’accesso alle cure di emergenza post-violenza sessuale e alle cure riproduttive. In altre parole, la pandemia ha contribuito a disegnare un quadro più complesso anche per quanto riguarda l’accesso alla giustizia, in quanto il lockdown ha influito anche sui meccanismi di reporting e sul lavoro di investigatori e giudici, avvocati, andando ad inficiare su tutto il meccanismo di giustizia. Nei contesti di guerra, in cui gli atti di violenza sessuale sono frequenti – basti pensare alle strutture di detenzione, ai campi profughi, alle aree rurali –, il monitoraggio di questo crimine si è purtroppo significativamente ridotto. 

Crimini sessuali, tra cui stupri e nudità forzata, sono commessi anche a danno di uomini in età adulta. I crimini compiuti contro individui di sesso maschile sono più difficili da rilevare in quanto lo stigma derivante dall’aver subito una violenza sessuale induce gli uomini e i ragazzi a non denunciare. Nel corso del 2018 la violenza sessuale si è confermata come uno strumento al servizio delle strategie di conflitto. La violenza sessuale è stata impiegata quale mezzo per rimuovere gruppi indesiderati: ad esempio, fonti delle Nazioni Unite hanno riportato che nel Sudan meridionale, le milizie alleate hanno stuprato donne e ragazze nell’ambito di una campagna di espulsione degli oppositori dallo Stato di unità meridionale. La violenza sessuale è stata usata anche come mezzo di repressione, terrore e controllo. Nella provincia del Tanganica della Repubblica Democratica del Congo, le milizie Twa e Luba in guerra hanno violato donne, ragazze e ragazzi delle rispettive comunità etniche. Nella Repubblica araba siriana e nel Burundi, gli attori armati, vittime di stupri di gruppo e detenuti sessualmente umiliati, sono stati percepiti come oppositori politici. La violenza sessuale risulta essere una tattica impiegata diffusamente dalle organizzazioni terroristiche, come dimostrato dal caso della Nigeria dove donne e ragazze sono state rapite e violentate da gruppi terroristi. Secondo il rapporto «la violenza sessuale soddisfa gli obiettivi strategici dei terroristi, tra cui lo spostamento delle popolazioni, l’acquisizione di informazioni attraverso gli interrogatori … la destabilizzazione delle strutture sociali … la violenza sessuale è stata anche una caratteristica ricorrente del reclutamento da parte di gruppi terroristici». La violenza sessuale è inoltre funzionale a incrementare le risorse economiche a disposizione dei terroristi, i quali hanno costituito veri e propri mercati (territoriali e online) attraverso cui si svolge il commercio di schiavi sessuali. Le entrate derivanti da tale mercato assicurano ai terroristi importanti proventi attraverso cui finanziare le proprie attività.

Per quanto concerne i casi nazionali nella Repubblica Democratica del Congo, nel 2018, la Missione di stabilizzazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite nella Repubblica democratica del Congo (MONUSCO) ha documentato 1.049 casi di violenza sessuale legata ai conflitti contro 605 donne, 436 ragazze, 4 uomini e 4 ragazzi. La maggior parte dei casi (741) sono stati attribuiti a gruppi armati, mentre 308 sono stati attribuiti alle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo e alla Polizia Nazionale congolese. Nella Repubblica Centro Africana, la Missione di stabilizzazione integrata multidimensionale delle Nazioni Unite nella Repubblica Centrafricana (MINUSCA) ha documentato 179 episodi di violenza.

 

Autrice: Silvia Luminati

 

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