"Il prezzo più alto della guerra lo pagano i bambini"

Zainetti di scuola disposti come se fossero pietre tombali Zainetti di scuola disposti come se fossero pietre tombali © UNICEF/Faber/Getty

La rassegna settimana 23-29 settembre 2019, a cura di Federica Pira

1)    Espulsa dall'università in quanto Rohingya

 “Nascondevo la mia identità solo per poter studiare. Mi sento in colpa, ma non avevo alternative […]”. Queste le parole di Rahima Akter, una studentessa di 20 anni proveniente dal campo profughi di Kutupalong che, come molti altri, avrebbe voluto intraprendere un'istruzione, ma non lo ha potuto poiché le autorità statali hanno scoperto le sue origini Rohingya.

 Akter è nata e cresciuta in Bangladesh, dopo che i suoi genitori, fuggiti dal Myanmar nel 1992, si sono rifugiati in Bangladesh durante l’esodo della comunità Rohingya. "Essere un Rohingya non è una colpa" dice Akter. “Volevo solo studiare diritti umani, così da poter sollevare la mia voce a nome della comunità perseguitata a cui appartengo. […] Da quando ottenere un'istruzione costituisce un crimine?”.

 Perchè il Bangladesh non consente ai Rohingya di iscriversi a scuole o college? Perché la stragrande maggioranza dei bambini Rohingya - compresi quelli nati in Bangladesh in famiglie non registrate e quelli arrivati nell'agosto 2017​​, durante la campagna militare di pulizia etnica - non sono ufficialmente riconosciuti come rifugiati e devono subire restrizioni all'accesso all'educazione. Secondo un rapporto pubblicato da Human Rights Watch (HRW), a partire da Gennaio 2019, le autorità del Bangladesh hanno infatti iniziato ad intercettare ed espellere studenti rifugiati Rohingya, operando una netta distinzione tra quei rifugiati Rohingya che sono "registrati" e quelli che invece sono arrivati ​​ nell’agosto 2017 e vengono definiti come "cittadini sfollati del Myanmar".

 L'istruzione è un diritto umano fondamentale e lo dovrebbe essere per tutti. Come giustamente commentato da Bill Vans Esveld, Direttore Associato presso HRW, "Costituisce un grave errore fare dell'educazione un ostaggio della politica. Esso integra una chiara violazione dei diritti umani".

 

 Per saperne di più, leggere:

 https://www.hrw.org/news/2019/04/01/bangladesh-rohingya-refugee-students-expelled

 https://www.aljazeera.com/news/2019/09/20-year-refugee-expelled-university-rohingya-190916060043568.html?fbclid=IwAR3NnddWJl4Kl1p6naNshkatdEIJ_th9A_mwQI-ee8CL8fnxuLzvLjBuMYs

 

2) Il doppio status dei bambini soldato

Sin dalla prima sentenza emessa dalla Corte Penale Internazionale contro Thomas Lubanga Dyilo, il tema dei bambini soldato ha attirato l'attenzione di molti professionisti ed accademici impegnati nel campo del diritto penale internazionale, umanitario e dei diritti umani. Come giustamente osservato da Giulio Bartolini e Marco Pertile, "l'interesse etico e giuridico per questo argomento deriva senza dubbio dal paradosso che la situazione dei bambini soldato può generare". Sono essi vittime manipolate da adulti, oppure criminali, responsabili dei più atroci crimini internazionali?

 L'attenzione all'argomento è poi aumentata nel corso degli anni, e ciò a causa delle particolari caratteristiche che ruotano attorno ai conflitti armati moderni, in cui le parti in causa sono spesso asimmetriche, rappresentate da gruppi armati, il più delle volte qualificati come "terroristi". Da tale circostanza, nuove questioni morali e giuridiche chiaramente emergono, in particolare per quanto riguarda il maggiore coinvolgimento di bambini (sia esso per reclutamento o per nascita) con tali gruppi terroristici. Le preoccupazioni riguardano principalmente la discutibile pratica di privare donne e bambini della propria libertà, a causa della loro presunta connessione con i combattenti terroristi. Secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), poiché i bambini godono di una protezione generale e speciale ai sensi del diritto internazionale umanitario, in simili contesti essi devono essere prima di tutto considerati vittime di un reato e, come tali, essere detenuti solo in extrema ratio.

 Alla luce di tali nuove emergenti questioni, e con lo scopo di esplorare le risposte del diritto internazionale al destino dei bambini soldato, agli studiosi di diversi paesi e alle esperienze è quindi stato richiesto di analizzare e discutere questo argomento da una ulteriore prospettiva, più attuale ed empirica. La loro comune conclusione è che, nonostante la significativa attenzione dei media e delle politiche, i bambini soldato rimangono comunque poco compresi e protetti in modo inadeguato.

 

Per saperne di più, leggere:

http://www.qil-qdi.org/children-in-conflicts-as-victims-and-perpetrators-reassessing-the-debate-on-child-soldiers-in-light-of-the-involvement-of-children-with-terrorist-groups/

https://www.e-elgar.com/shop/research-handbook-on-child-soldiers?fbclid=IwAR29K9sd6gvQnrYK9a94kX3VaTjQFU0AziazpSwzFSdWNjl69LvuK6U-vCM

 

2)   Zaini come simbolo di speranza

 

Negli attuali conflitti in Afghanistan, Repubblica Centrafricana, Somalia, Sud Sudan, Siria, Yemen e molti altri, sono i bambini a pagare il prezzo più alto della guerra. Secondo il Rapporto Annuale del Segretario Generale ONU pubblicato quest’anno, oltre 12.000 bambini sono stati uccisi o feriti in zone di conflitto nel 2018, il numero più alto mai registrato da quando le Nazioni Unite hanno iniziato a monitorare e denunciare questa grave violazione.

 

Come illustrato dall'UNICEF, la stragrande maggioranza delle vittime minorenni nei conflitti armati è causata dall'uso continuo e diffuso di armi esplosive, quali attacchi aerei, mine terrestri e munizioni a grappolo, che - come molti dei nostri lettori già sanno - violano il principio fondamentale di distinzione tra civili e combattenti.

 

A partire da questa valutazione, e alla vigilia del ritorno dei bambini a scuola dopo la solita pausa estiva, l'UNICEF ha deciso di lanciare un chiaro messaggio al mondo, dispiegando zainetti come lapidi, un simbolo inquietante che aspira a smuovere le coscienze e a richiedere una maggiore protezione per tutti quei bambini che si trovano a vivere in zone di conflitto.

 

 

Per saperne di più, leggere:

https://news.un.org/en/story/2019/09/1045832

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